Il Natale: Amore e Cuore

Giuseppina Rotondi

Il Natale: Amore e Cuore

“L’essenza che si fa carne è la luce che diventa vita,
l’amore che prende forma è nelle nostre mani,
la nascita è un rito che si rinnova”.


Se proviamo a chiedere a un bambino: “Dov’è l’amore?”, la maggior parte delle volte risponderà: “Nel cuore!”. E ha ragione.

Il cuore è il luogo più adatto a contenere l’Amore, perché è neutro, e la neutralità è assenza di giudizio: pura accoglienza di ciò che si manifesta, esattamente così com’è.


Il Natale dovrebbe essere il richiamo al nostro nucleo essenziale, l’unica sorgente da cui l’Amore può ricominciare a sgorgare: l’Essenza del cuore. Ma se si stacca dal cuore e scivola nei bisogni del ventre, il Natale si trasforma nel più forte attivatore di bisogni, richieste, aspettative.
Si ritorna bambini, ma quei bambini capricciosi che hanno perso la capacità di meravigliarsi di fronte a ogni cosa e di gioirne. Alcuni di loro, temendo le delusioni, preferiscono addirittura smettere di desiderare.


L’Amore non ci appartiene, non appartiene a nessuno: il suo flusso scorre e non può essere trattenuto. È un dono prezioso da scartare giorno dopo giorno, e il suo pacchetto è senza fondo.

L’Amore va saputo vedere oltre i nostri occhi e ascoltato oltre le nostre orecchie. Va riconosciuto e lasciato scorrere attraverso la nostra vita. Non è sentimento, ma la manifestazione incondizionata della nostra Essenza nel momento in cui la offriamo.


Con l’Amore tutto diventa naturale e, mentre scorre dalla Fonte a noi e da noi agli altri, si mostra in mille forme. È creatività, e la creatività ha un’unica direzione: quella in avanti, rispettando un ordine che il cuore riconosce.

Quando arriva, non può più tornare indietro, se non a un prezzo molto alto, a scapito della sua autenticità e del suo essere dono.

Perfino la paura si mette a suo servizio: diventa un campanello d’allarme ogni volta che ce ne allontaniamo, la chiave che apre di nuovo la sua porta.


La prima porta dell’Amore è la Nascita. Il Natale è un tempo sacro che invita a guardarci dentro e riscoprire il nostro arrivo sulla Terra come un grande atto d’amore. Mentre immaginiamo il “nostro presepe”, il cuore ritrova sensazioni dimenticate.

Ma non perdiamo di vista la stella cometa: la Luce che ci ha guidati e che ci renderà visibili al mondo. Non si spegne mai, perché il suo unico interruttore è la presenza, ma quella dipende da noi.

La presenza è il dono più grande che possiamo fare a Natale. Ogni gesto, fatto con presenza, è un “Sì” all’altro, al pensiero e al tempo dedicato.


La presenza è anche il tempo di un augurio guardandosi negli occhi. E chi è lontano, chi ancora non riesce ad arrivare e resta separato, il cuore sa attenderlo: gli lascia la porta aperta e, quando l’altro sarà pronto, lo inviterà alla sua tavola come un ospite privilegiato. Il cuore sa attendere perché ha una grande forza: quella dell’incondizionato.


Oggi la distanza non è più misurata dai chilometri: i telefonini ci permettono di vederci e sentirci anche quando siamo all’estremità del mondo. Eppure, mentre tutto sembra diventare “vicino”, qualcosa si allontana. È vero: i messaggi semplificano la vita, ma semplificano anche il cuore. Ci fanno credere di aver già detto ciò che proviamo, di aver già incontrato l’altro, quando in realtà abbiamo solo sfiorato la superficie. Per non parlare di quando inviamo o riceviamo lo stesso messaggio per tutti. Come sta il nostro cuore in quel momento? È presente? Ama?


L’Amore è semplice, e il cuore lo aiuta: bussano alla porta del vicino, chiamano per sentire l’emozione nella voce di un parente, si trasformano in grafia in un biglietto di auguri scritto a mano.
L’Amore, per scorrere davvero, ha bisogno della presenza e non di notifiche.

Il rischio c’è: dimenticarsi di qualcuno o essere dimenticati. Ma il cuore sa attendere…


Giuseppina Rotondi

Autore: Giuseppina Rotondi 16 aprile 2025
La Settimana Santa è il passaggio dall’oscurità alla luce. La luce della Risurrezione. È quel tempo in cui ci sembra di aver perso l’anima, quando invece è lei ad aver perso Dio, smarrita tra ego e paura. Il cammino verso la sua Pasqua è fatto di passaggi profondi e sacri: confessione, penitenza, purificazione, trasformazione. Se liberate dal significato tradizionale, queste parole riacquistano la loro verità. Confessare significa riconoscere dove l’ego ha prevalso, dove le nostre scelte hanno generato disarmonia. È il primo passo, quello che ci porta dalla colpa alla responsabilità. È dire: “Questa parte è mia, la riconosco, e scelgo di trasformarla”. Da quel momento i nostri errori vengono rimessi nelle mani del grande movimento dello Spirito, quella forza creatrice che opera silenziosamente e che tutto trasforma. Inizia così la penitenza, intesa non come sacrificio punitivo, ma come gesto consapevole di rinuncia. Rinuncia a ciò che appare indispensabile per il piccolo ego, ma che in realtà limita l’anima. La penitenza purifica la parte più profonda di noi, quella che sa abbandonare vecchi automatismi per un nuovo più autentico. È un modo per purificare il cuore, spogliarsi e indossare vesti nuove, come facevano i nostri genitori il giorno di Pasqua per simboleggiare l’avvenuto rinnovamento. Come Gesù nell’Orto dei Getsemani, sopraffatto dalla paura, chiese al Padre di allontanare il calice, anche noi, nella nostra fragilità, possiamo tendere un ponte verso Dio. È lì, nel fondo della notte interiore, che Lo incontriamo; nel luogo senza riferimenti, nell’ignoto, nel caos, nell’insicurezza della paura. Quando tutto sembra finito e arriva il dono della resa; quando il rumore si placa e finalmente possiamo ascoltarLo. La Settimana Santa diventa così riconciliazione, una preghiera che non chiede, che non sa cosa avverrà né cosa porterà. Quel vuoto fertile dove avviene il miracolo: il corpo si dissolve e dalla tomba interiore risorge lo Spirito. La Settimana Santa apre nuove strade, quelle che attendono di risorgere con noi. E quando questo avverrà, saremo dei perfetti sconosciuti, persino a noi stessi. “Cosa ho fatto oggi a servizio della vita e degli altri?”. È questa la domanda che nasce nel cuore rinnovato, perché il servizio è la forma più concreta della Risurrezione. È il miracolo dopo la sofferenza. La Risurrezione non è un’ascesa o una fuga verso l’alto, è un risveglio che accade qui, nel corpo, nella materia, nel presente. In un amore che si fa utile. È un miracolo per chi sa accoglierlo. Ed è lì, in quell’umile disponibilità al nuovo, che incontro Dio. Buona Pasqua a tutti, dal cuore. Giuseppina
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