Perché i figli di una volta si sentivano forti e liberi di realizzare la propria vita, pur restando in casa dei genitori addirittura dopo il matrimonio? Perché, anche da adulti, restavano piccoli, piccoli di fronte al padre e alla madre. Li adoravano, li adulavano, li ascoltavano, riconoscevano in loro il potere decisionale. Non giudicavano ma obbedivano, quella sana obbedienza che li portava a essere rilassati. Il loro cuore era aperto e incondizionato. Si sentivano protetti dai loro genitori, fiduciosi che in qualunque avversità loro li avrebbero salvati. E la realizzazione e l’indipendenza non tardavano ad arrivare… già a 20 anni erano adulti capaci di lavorare e di mantenere una famiglia.
La Società era nella casa, la solitudine era un optional, così come il bisogno continuo di uscire alla ricerca della felicità. Non esisteva il dilemma su dove andare a festeggiare il Natale e con chi, era tutto lì, erano tutti lì. Normale, scontato, deciso, già scritto.
Nonostante le difficoltà, la Felicità era felice di aleggiare, le risate erano sonore, le porte aperte, i vicini e i parenti con i loro figli entravano in casa liberamente, anche con le scarpe…
C’erano regole, ma tutte dettate dalla necessità di convivere in molti in un unico ambiente.
Il padre diventava Conte e anche di fronte alle regole più assurde, i figli non si ponevano il problema se fossero giuste o no, erano le regole del padre e così doveva essere.
Non esisteva la fatica di fare cose che non piacevano o che non erano in accordo con le proprie esigenze personali, anzi non esistevano le esigenze personali, tutto era a favore della famiglia e di fronte a una regola non si sollevava il problema, perché il PROBLEMA non esisteva.
Le regole riguardavano i comportamenti, le azioni e le non azioni. Erano direttive e attive.
Le regole del padre non riguardavano la sfera dei sentimenti e delle emozioni. Il padre non era preposto ad accogliere i malumori e i risentimenti dei figli, erano indirizzate all’ordine e alla disciplina per poter convivere e andare avanti.
Fin da piccoli i figli questo lo “sapevano”. Così come sapevano cosa fare. Lo aveva detto il padre, non si discuteva. Si agiva.
Mentre il corpo eseguiva, la testa del piccolo era rilassata, perché non aveva nulla da decidere, non faceva da padrona con giudizi, valutazioni e pensieri personali, aveva tutto il tempo di maturare e di crescere fino ad arrivare all’età adulta in cui si diventa capaci di prendere decisioni e di fare scelte appropriate.
I tempi di “maturazione” venivano rispettati.
Le connessioni cerebrali che aiutano a prendere decisioni sane, con cuore e razionalità, hanno uno sviluppo più lento rispetto a quello del corpo, hanno bisogno di più tempo per poter dare i loro frutti quale l’autostima, la fiducia, la sicurezza in se stessi.
Il diventare più grandi prima del tempo, ha portato a vivere in uno stato di malessere generando frenesia, indecisione, insicurezza, una sensazione di sfiducia nel futuro e in chi detta le regole, perché le regole non si conoscono più. La parola regola ha perso il suo significato più elevato e oggi rievoca solo senso di ribellione e conflitto. La regola è invece a servizio della vita, del rispetto e della pace.
In ribellione alle regole dei padri, i figli vengono educati a essere “adulti” troppo in fretta e a decidere da soli della propria vita. Improvvisamente non ci sono più superiori che dicono cosa fare, che consigliano, che guidano e arriva la paura dell’imprevedibile e il bisogno di controllare in maniera maniacale il mondo esterno. Arriva la paura dell’ignoto e della solitudine.
Quando non c’è il riconoscimento di una guida, ci si sente soli e abbandonati, impauriti del mondo fuori e si resta fermi nel conosciuto, schiavi di regole e condizionamenti auto-imposti. Le regole sono necessarie per riuscire a stare al mondo e nel mondo. E per questo si è costretti in modo innaturale a diventare padri di se stessi.
Viene a mancare il coraggio, di uscire, di realizzarsi, di “mettere su casa” e di mandare avanti la vita. Senza un padre la paura di sbagliare è altissima.
Al contrario di ciò che si dice, la vera realizzazione non arriva attraverso il lavoro dei propri sogni e dei propri desideri, ma attraverso il mettersi in gioco nel mondo, qualsiasi sia l’azione che si fa.
Quando la vita percepisce l’impegno, la buona volontà, la dedizione, la responsabilità, allora ci promuove e ci riterrà pronti e idonei a realizzare i nostri desideri, e saremo forti di esperienza e di saggezza.
Se invece vogliamo evitare le sfide e gli attriti che la vita richiede, il desiderio si allontana e tutto diventa difficile e pesante, come risalire un fiume contro corrente. Fluire con la vita, dire sì a ciò che la vita propone, senza tirarsi indietro, è il modo migliore per ottenere il “diploma” alla saggezza.
Anche i desideri richiedono concretezza, pazienza, impegno, responsabilità, capacità di stare in qualunque situazione, con fiducia che la cosa giusta arriva al momento giusto. Se non hanno la certezza di essere accuditi e protetti, i desideri si allontanano.
L’era dei “genitori moderni” ha alimentato il giudizio, la critica, il rifiuto, la ribellione, tutte forze sacre e necessarie per vivere e sopravvivere, ma pericolose quando i figli sono costretti a crescere prima del tempo.
“Cosa vuoi fare? Cosa vuoi mangiare? Dove vuoi andare?” creano nel bambino un senso di inadeguatezza, che nella maggior parte dei casi viene celato da una falsa onnipotenza, andando a nutrire molto l’ego e poco l’anima.
La falsa onnipotenza crea falsa indipendenza.
L’illusione di essersi creati da soli chiude le porte al mondo esterno e a ciò che richiede la vita e si cresce con la convinzione di non essere in grado di farcela. Allo stesso tempo si crede di avere il mondo in mano e di poterlo manovrare a nostra immagine e somiglianza, proprio come abbiamo fatto con i nostri genitori, e non appena mettiamo il naso fuori dalla porta, inevitabilmente lo sbattiamo contro qualcosa più grande di noi…
Nell’Universo esiste sempre qualcosa di più grande con la quale siamo chiamati a confrontarci, prima o poi.
Oggi è il Covid19.
La solitudine diventa pesante, insopportabile, risveglia la falsa onnipotenza, risveglia la ribellione, ma anche la paura di non farcela da soli, il bisogno di andare verso tutte quelle dipendenze auto-create per non restare tra le mura di casa, abbandonati nell’essere padroni di se stessi.
Improvvisamente tutti i bambini cresciuti troppo in fretta si ribellano alle regole, vogliono uscire alla ricerca spasmodica della famiglia mancata. Diventano adulti che soffrono il bisogno di compagnia, adulti incapaci di restare soli nella propria casa, di essere responsabili verso la propria vita e quella degli altri.
La solitudine creata in ribellione alla propria famiglia di origine genera la ricerca continua di un gruppo, di una fratellanza, di una condivisione, nella dipendenza e nella mancanza continua di qualcosa, alimentando senso di restrizione e di costrizione quando non si riesce ad ottenerla.
Quando invece la solitudine viene “educata” al rispetto dei propri spazi e degli spazi altrui, genera libertà e condivisione, felici di partecipare a qualcosa di più elevato. E’ una solitudine adulta e consapevole che arriva al momento giusto nel posto giusto, perché permette di esercitare una grande qualità dell’essere umano: LA RESPONSABILITA’.
Allora il senso di costrizione lascia il posto alla pace, il cuore si rilassa e si espande, apre le sue porte a chiunque voglia entrare, del passato, del presente o del futuro, accoglie i propri cari, porta gioia e felicità, grazie al grande dono della RESPONSABILITA’.